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Lavoro: dentro il “patto per l’Italia”, i pro e i contro

Non c’è solo l’articolo 18 nell'intesa firmato dal governo e dalle parti sociali (esclusa la Cgil),Si vuole andare a ridisegnare l’intero mercato del lavoro.

di Antonietta Nembri

Non c?è solo l?articolo 18. Il ?Patto per l?Italia – Contratto per il lavoro intesa per la competitività e l?inclusione sociale?, firmato dal governo e dalle parti sociali (esclusa la Cgil), infatti, contiene molto di più. Si vuole andare a ridisegnare l?intero mercato del lavoro con l?obiettivo di migliorare la competitività dell?intero sistema Paese. Nel Patto trovano posto le linee per lo sviluppo economico e la crescita dell?occupazione nel Mezzogiorno. Molto è delegato all?emanazione di decreti, alcuni già in itinere, altri ancora da realizzare non solo in relazione alle politiche del lavoro, ma anche a quelle dei redditi e del Mezzogiorno. Ma cosa c?è veramente in questo Patto per l?Italia di cui tanto si discute e che è stato appiattito sul problema dell?articolo 18? «Alcune cose buone nel Patto ci sono», ammette Luigi Bobba, presidente delle Acli. «Minor pressione fiscale per i redditi sotto i 25mila euro, maggiorazione dell?indennità di disoccupazione, completamento della riforma del collocamento, avvio per 700mila cittadini di iniziative di formazione permanente». Nel primo punto del Patto, del resto, si legge che il governo si «impegna a dare priorità alla riduzione della tassazione personale». Ma qui termina, per il presidente delle Acli, l?elenco degli elementi con il segno più. Un giudizio positivo complessivo viene invece da Carlo Costalli, presidente dell?Mcl, che vede nel rafforzamento e nell?estensione della bilateralità e nelle deleghe «le due cose positive del Patto che», sostiene, «ha come punto qualificante proprio la partecipazione e il rafforzamento della bilateralità che va a vantaggio di una democrazia economica». Anche sull?articolo 18 per Costalli la «mediazione è tollerabile e governabile. Si è trovato un punto di equilibrio importante», rimanendo nell?attesa dello Statuto dei lavori. Nel Welfare to work di cui il Patto vuole essere un caposaldo, un capitolo viene dedicato al tema del ?dialogo sociale? che preannuncia l?incontro con le parti sociali per affrontare il tema delle politiche sociali, ma anche il confronto per produrre un «avviso comune su forme condivise di conciliazione e arbitrato» nei processi di lavoro. Per Bobba rimangono, come lui le definisce, «due gravi perplessità: i contenuti del Patto diventeranno veramente operativi o resteranno, come per molte altre intese, dichiarazioni di principio?». Altra fonte di dubbi, il punto debole della costruzione: il Patto non esprime un disegno di riforma dell?insieme delle regole del mercato del lavoro e dello Stato sociale. «I grandi assenti», denuncia il presidente delle Acli, «sono le politiche per la famiglia, i diritti individuali di formazione, un moderno ruolo del Terzo settore, un riordino completo degli ammortizzatori sociali, una ridefinizione delle protezioni e delle tutele per la vasta platea di persone che lavorano ma che sono prive di diritti e di garanzie. A questi lavoratori flessibili, alle famiglie, ai cittadini che vorrebbero accedere alle opportunità di formazione, il Patto dice ben poco». E il Sud? Al Mezzogiorno d?Italia il documento prodotto dal governo Berlusconi dedica oltre un terzo dello spazio, «tante parole», come afferma Costalli che lo definisce però il punto debole dell?intero Patto. «Ci sono molte enunciazioni, dove in altre parti del documento si specifica maggiormente. Rimane un po? debole e un po? vago», sostiene Costalli, «e rimanda troppo. Anche per quanto riguarda il settore agricolo e quello agroalimentare rimanda a un tavolo futuro. Noi però siamo fiduciosi, aspettiamo la trattativa di novembre per lo Statuto dei lavori, e il Patto è, comunque, un passo avanti».


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